“D” come “Dionisismo”, festività e misteri legati a Dioniso
“Dioniso travolgeva nell'ebbrezza e
usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse. Non proclamò mai di
sostenere la parola vera. Era come se la parola si mescolasse al suo corteo fra
Menadi e Satiri, ma senza troppo farsi notare.
Dioniso era intensità allo stato
puro, che attraversava e scardinava ogni ostacolo, senza soffermarsi sulla
parola, vera o falsa che fosse”.
(Roberto
Calasso)
Questo è un argomento a me molto caro,
quasi un ossessione personale per cui cercherò di contenermi nello scrivere più
sinteticamente possibile; una piccola annotazione di principio: la ritualità qui
descritta in ambito storico secondo lo studio comparativo è tutt’oggi applicata
nella pratica religiosa moderna da singole culture o praticanti (anche se con
lievi differenze etiche-ritualistiche).
Dioniso, in greco Διόνυσος, è una delle principali figure
divine della religione panteistica greca. Il suo culto, sebbene poco noto,
risale al periodo pre-ellenico ed è presumibilmente rintracciabile nella
divinità indo-ariana “Div-an aosha”, atta a detenere i misteri della bevanda
dell’immortalità. Per questa contaminazione socio-religiosa in primo periodo
presso i greci Dioniso era simboleggiato dalla linfa di ogni specie vegetale,
con il suo ciclo annuale che si espletava nel carattere vegetativo e ctonio (assimilabile
cioè alla vita annuale del mondo vegetale legata alla morte ed alla rinascita;
cioè alla gemmazione, fioritura, fruttificazione, caduta delle foglie e periodo
di riposo). Nel ciclo stagionale questo
Dio era simboleggiato fortemente da ogni singolo fluido vegetale che “generava
la vita” e quindi topicamente connesso con diversi frutti stagionali dal sapore
dolce come fichi, uva, susine, pesche ecc.
“Dioniso
rappresentava quell'energia naturale che, per effetto del calore e
dell'umidità, portava i frutti delle piante alla piena maturità. Era dunque
visto come una divinità benefica per gli uomini da cui dipendevano i doni che
la natura stessa offriva tra questi: l'agiatezza, la cultura, l'ordine sociale
e civile. Ma poiché questa energia tendeva a scomparire durante l'inverno,
l'immaginazione degli antichi tendeva a concepire talvolta un Dioniso
sofferente e perseguitato”
Simboli
sacri di questa divinità sono l’Edera, il Mirto, la Vite, il Tirso, il Fallo
eretto, il Leopardo/la Lince/il Cervo, il Tamburo, il Vino e le Danze sacre.
Per questioni di spazio non mi soffermerò sulla mitologia legata alla vita ed
alla fuga di questa figura divina, dato l’ampio risvolto mitico del “Dio nato
due volte”. Non è facile definire cosa
sia essenzialmente la figura di Dioniso data le sue ampie sfumature che
ricadono anche in concetti contraddittori fra loro; da una parte è il Dio dell’ebbrezza,
dell’estasi, del misticismo incontrollato e dell’esplicitarsi del ciclo
naturale ma dall’altra riflette caratteristiche terrorizzanti di irrazionalità
e ferinità istintuale. I suoi epiteti si riferiscono tanto agli animali che
alle piante a lui sacre ma anche ad eventi rituali o aspetti inerenti al rito. È
il “tralcio di vite”, “l’edera”, il “vino”, “il diritto d’essere”, “il
furibondo”, “lo spirito arboreo”, “il giovane capro”, “il nobile toro”, “colui
che si ciba di carne cruda”, “cucito nella coscia”, e anche “la femminella”. Ed ancora: “colui che è venuto due volte alla
porta della nascita”, o “colui che conduce le menadi”, e molti altri nomi
ancora legati ai luoghi di culto ed anche ai diversi periodi. Tutti questi
epiteti sottolineano le varie maschere
del dio, differenti aspetti che fanno
allusione al mito della sua nascita, ai rituali che si svolgevano in selve e
luoghi selvaggi, agli animali sacrificati nei riti di sangue, alle feste
orgiastiche in suo nome, alla sua duplice natura legata al ciclo vegetativo di
flora e fauna, al suo essere androgino e sessualmente connotato.
Euripide
ne “Le baccanti” lo descrive: “Fragrante nelle chiome di riccioli biondi, con
le grazie brune – color vino – di Afrodite nei due occhi”; una descrizione anomala
se si parla di una divinità maschile dato che il topos maschile divino denotava
la figura sacra con simbolismi quali barba, torso irsuto e corpo atletico.
Analizzando la figura dionisiaca ritroviamo quindi il potere maschile in
connubio con la grazia fisica femminile, un unione pericolosa data la rigidità
di genere e di sessualità dei ceti greci. Questi attributi rendono la divinità
di Dioniso dicotomica, dalla doppia valenza. Un Dio uomo che possiede l’essere
donna; un crogiuolo di realtà in connubio con culti specifici e settoriali che
si ritrovano con estrema difficoltà nel vivere religioso e nei riti delle altre
divinità greche.
La
ritualistica dionisiaca all’istituzione iniziale del culto in Grecia constava
di sole donne, dette Menadi; successivamente il termine si ampliò anche ai
seguaci di sesso maschile. Il corteo
sacro, formato dalle Menadi, è detto tìaso. Esse si aggiravano di notte sui
monti, selve e luoghi selvaggi con i
capelli sciolti, un tirso ricoperto di pampini ed edera, coronate di vite,
edera e mirto, erano avvolte da serpenti e vestite con pelle di cerbiatto o cervo,
detta Nebride. Il rito si connotava di danze frenetiche al
suono di timpani, cembali e flauti, ed il ritmo ossessivo conduceva le Menadi
ad uno stato di totale abbandono, di estraniazione dal reale, di estasi mistica.
Ciò le portava a camminare su una gamba sola, a saltare, e slanciare il piede
in avanti, a sottolineare uno stato che oggi chiameremmo di trance, ma che nei
testi è definito di “Mania”. Il rito terminava
col gesto cruento dello Sparagmòs, ovvero lo smembramento dell’animale, del
pasto sacro; seguito dall’Omophagia, cioè il cibarsi delle carni crude. Benché si parli spesso dei riti orgiastici
dionisiaci, bisogna ricordare che il termine orgia non aveva la stessa connotazione
di oggi: significava “Rito”. Durante i riti greci, dove le vergini non potevano
essere Baccanti come invece poteva succedere in territorio romano, si praticava
l’orgia sacra; l’unione sessuale, che poteva anche essere compiuta da una sola
coppia di persone, era definita con il termine di rituale dello “Hieros Gamos”.
L’applicazione della “magia sessuale” o “rito d’unione” nella celebrazione
divina è da sempre stata utilizzata nelle culture antiche ed è divenuta taboo
solo con l’avvento cristiano cattolico di modificazione (indotta) dell’etica
sociale. Tornando alla struttura del rito è bene notare come Dioniso venisse
assimilato nella carne che le Menadi assumevano durante la celebrazione, ricevevano
in sé la forza del Dio prima ucciso e
poi divorato. La scelta dei monti, la natura selvaggia, l’istinto bestiale,
caratterizzano il fulcro del culto. Le menadi così annullavano la loro identità,
per divenire loro stesse il Dio, assimilato tramite il cibarsi della sua stessa
carne.
L’autore Demostene accenna al “Rito di iniziazione” che
cominciava con la lettura di un libro sacro; ed accenna all’atto del “Nebrizzare”,
alludendo alla pelle del cerbiatto (probabilmente una cerimonia di caccia e
vestizione); parla di “Craterizzare”, ossia usare il cratere, coppa in cui si
mescolavano acqua e vino; e di “Catharmos”, purificazione, in cui il corpo
dell’iniziato, disteso a terra, veniva massaggiato con terra e farina, a simboleggiare
il rinnovo fisico e immateriale. A questo punto l’iniziato si alzava e diceva:
“Sono sfuggito al male e ho trovato il meglio”, e i fedeli cantavano
ritualmente. Durante il giorno, gli iniziati
scendevano nelle strade in processione, col capo coronato di finocchio e rami
di pioppo bianco. Il capo spirituale, con dei serpenti attorcigliati sulla
testa, li precedeva gridando: “Evoè, mysti di Sabazio”, oppure “Hyès, Attès,
Attès, Hyès”. Tra le nomine del primo
del tìaso compare quella di Capo dei Misteri, Portatore del Latte, Portatore
delle Torce, Porta-Canestro e Portatore del fallo. Infatti, elemento simbolico
fondamentale era il Liknon, un paniere o cesta, all’interno del quale veniva
trasportato un grande fallo, simbolo non solo di fertilità, ma anche della vita
che si conquista attraverso la morte. Le
feste dedicate a Dioniso erano: Le feste
dette Dionisie ai campi o “Dionisiae Rusticae” che avevano luogo nel mese di
Posideone (dicembre-gennaio), le “Lenee” che si celebravano nel mese di Gamelione
(gennaio-febbraio), le “Antesterie” ovvero le feste più famose che si
celebravano dall’11 al 13 del mese di Antesterione, all’inizio della primavera
e le “Grandi Dionisiache” nel mese di Elafebolione (marzo-aprile).
Da
Wikipedia: “Divinità enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni
ordinamento e convenzione, sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e
inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro stato di
purezza primordiale. Per il filologo Walter Otto rappresenta “lo spirito divino
di una realtà smisurata” che si manifesta in un eterno deflagrare di forze
opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e
silenzio, è una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina e
inquieta, la sinfonia inebriante dell'universale realtà del cosmo. Per Károly
Kerényi “dove regna Dioniso la vita si rivela irriducibile e senza confini”. Quale
divinità della forza vitale, dell'impulso, dell'ebbrezza e dell'estasi divenne
oggetto dell'analisi del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che contrappose
lo Spirito dionisiaco allo Spirito apollineo”.
Ci tengo
a precisare che la Figura di Dioniso greco è ben diversa dal Bacco latino e
queste due non devono essere confuse tra di loro anche se risultano la
modificazione di uno stesso personaggio mitico all’interno di un contesto
culturale. I valori e gli attributi dionisiaci sono nettamente diversi da
quelli bacchici ed appartengono a contesti sociali differenti. La figura in alto rappresenta il Dioniso
rinvenuto nei mosaici pavimentali del “Santuario di Dioniso” a Delo.