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giovedì 6 settembre 2012

Modern Witch League 5#: Witchy Alphabet. "D"



D” come Dionisismo”, festività e  misteri legati a Dioniso

“Dioniso travolgeva nell'ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse. Non proclamò mai di sostenere la parola vera. Era come se la parola si mescolasse al suo corteo fra Menadi e Satiri, ma senza troppo farsi notare. 
Dioniso era intensità allo stato puro, che attraversava e scardinava ogni ostacolo, senza soffermarsi sulla parola, vera o falsa che fosse”.  
(Roberto Calasso)

Questo è un argomento a me molto caro, quasi un ossessione personale per cui cercherò di contenermi nello scrivere più sinteticamente possibile; una piccola annotazione di principio: la ritualità qui descritta in ambito storico secondo lo studio comparativo è tutt’oggi applicata nella pratica religiosa moderna da singole culture o praticanti (anche se con lievi differenze etiche-ritualistiche).

Dioniso, in greco Διόνυσος, è una delle principali figure divine della religione panteistica greca. Il suo culto, sebbene poco noto, risale al periodo pre-ellenico ed è presumibilmente rintracciabile nella divinità indo-ariana “Div-an aosha”, atta a detenere i misteri della bevanda dell’immortalità. Per questa contaminazione socio-religiosa in primo periodo presso i greci Dioniso era simboleggiato dalla linfa di ogni specie vegetale, con il suo ciclo annuale che si espletava nel carattere vegetativo e ctonio (assimilabile cioè alla vita annuale del mondo vegetale legata alla morte ed alla rinascita; cioè alla gemmazione, fioritura, fruttificazione, caduta delle foglie e periodo di riposo).  Nel ciclo stagionale questo Dio era simboleggiato fortemente da ogni singolo fluido vegetale che “generava la vita” e quindi topicamente connesso con diversi frutti stagionali dal sapore dolce come fichi, uva, susine, pesche ecc.

“Dioniso rappresentava quell'energia naturale che, per effetto del calore e dell'umidità, portava i frutti delle piante alla piena maturità. Era dunque visto come una divinità benefica per gli uomini da cui dipendevano i doni che la natura stessa offriva tra questi: l'agiatezza, la cultura, l'ordine sociale e civile. Ma poiché questa energia tendeva a scomparire durante l'inverno, l'immaginazione degli antichi tendeva a concepire talvolta un Dioniso sofferente e perseguitato”

Simboli sacri di questa divinità sono l’Edera, il Mirto, la Vite, il Tirso, il Fallo eretto, il Leopardo/la Lince/il Cervo, il Tamburo, il Vino e le Danze sacre. Per questioni di spazio non mi soffermerò sulla mitologia legata alla vita ed alla fuga di questa figura divina, dato l’ampio risvolto mitico del “Dio nato due volte”.  Non è facile definire cosa sia essenzialmente la figura di Dioniso data le sue ampie sfumature che ricadono anche in concetti contraddittori fra loro; da una parte è il Dio dell’ebbrezza, dell’estasi, del misticismo incontrollato e dell’esplicitarsi del ciclo naturale ma dall’altra riflette caratteristiche terrorizzanti di irrazionalità e ferinità istintuale. I suoi epiteti si riferiscono tanto agli animali che alle piante a lui sacre ma anche ad eventi rituali o aspetti inerenti al rito. È il “tralcio di vite”, “l’edera”, il “vino”, “il diritto d’essere”, “il furibondo”, “lo spirito arboreo”, “il giovane capro”, “il nobile toro”, “colui che si ciba di carne cruda”, “cucito nella coscia”, e anche “la femminella”.  Ed ancora: “colui che è venuto due volte alla porta della nascita”, o “colui che conduce le menadi”, e molti altri nomi ancora legati ai luoghi di culto ed anche ai diversi periodi. Tutti questi epiteti  sottolineano le varie maschere del dio,  differenti aspetti che fanno allusione al mito della sua nascita, ai rituali che si svolgevano in selve e luoghi selvaggi, agli animali sacrificati nei riti di sangue, alle feste orgiastiche in suo nome, alla sua duplice natura legata al ciclo vegetativo di flora e fauna, al suo essere androgino e sessualmente connotato.


Euripide ne “Le baccanti” lo descrive: “Fragrante nelle chiome di riccioli biondi, con le grazie brune – color vino – di Afrodite nei due occhi”; una descrizione anomala se si parla di una divinità maschile dato che il topos maschile divino denotava la figura sacra con simbolismi quali barba, torso irsuto e corpo atletico. Analizzando la figura dionisiaca ritroviamo quindi il potere maschile in connubio con la grazia fisica femminile, un unione pericolosa data la rigidità di genere e di sessualità dei ceti greci. Questi attributi rendono la divinità di Dioniso dicotomica, dalla doppia valenza. Un Dio uomo che possiede l’essere donna; un crogiuolo di realtà in connubio con culti specifici e settoriali che si ritrovano con estrema difficoltà nel vivere religioso e nei riti delle altre divinità greche.

La ritualistica dionisiaca all’istituzione iniziale del culto in Grecia constava di sole donne, dette Menadi; successivamente il termine si ampliò anche ai seguaci di sesso maschile.  Il corteo sacro, formato dalle Menadi, è detto tìaso. Esse si aggiravano di notte sui monti, selve e luoghi selvaggi  con i capelli sciolti, un tirso ricoperto di pampini ed edera, coronate di vite, edera e mirto, erano avvolte da serpenti e vestite con pelle di cerbiatto o cervo, detta Nebride.   Il rito si connotava di danze frenetiche al suono di timpani, cembali e flauti, ed il ritmo ossessivo conduceva le Menadi ad uno stato di totale abbandono, di estraniazione dal reale, di estasi mistica. Ciò le portava a camminare su una gamba sola, a saltare, e slanciare il piede in avanti, a sottolineare uno stato che oggi chiameremmo di trance, ma che nei testi è definito di  “Mania”. Il rito terminava col gesto cruento dello Sparagmòs, ovvero lo smembramento dell’animale, del pasto sacro; seguito dall’Omophagia, cioè il cibarsi delle carni crude.  Benché si parli spesso dei riti orgiastici dionisiaci, bisogna ricordare che il termine orgia non aveva la stessa connotazione di oggi: significava “Rito”. Durante i riti greci, dove le vergini non potevano essere Baccanti come invece poteva succedere in territorio romano, si praticava l’orgia sacra; l’unione sessuale, che poteva anche essere compiuta da una sola coppia di persone, era definita con il termine di rituale dello “Hieros Gamos”. L’applicazione della “magia sessuale” o “rito d’unione” nella celebrazione divina è da sempre stata utilizzata nelle culture antiche ed è divenuta taboo solo con l’avvento cristiano cattolico di modificazione (indotta) dell’etica sociale. Tornando alla struttura del rito è bene notare come Dioniso venisse assimilato nella carne che le Menadi assumevano durante la celebrazione, ricevevano in sé  la forza del Dio prima ucciso e poi divorato. La scelta dei monti, la natura selvaggia, l’istinto bestiale, caratterizzano il fulcro del culto. Le menadi così annullavano la loro identità, per divenire loro stesse il Dio, assimilato tramite il cibarsi della sua stessa carne.
 
L’autore  Demostene accenna al “Rito di iniziazione” che cominciava con la lettura di un libro sacro; ed accenna all’atto del “Nebrizzare”, alludendo alla pelle del cerbiatto (probabilmente una cerimonia di caccia e vestizione); parla di “Craterizzare”, ossia usare il cratere, coppa in cui si mescolavano acqua e vino; e di “Catharmos”, purificazione, in cui il corpo dell’iniziato, disteso a terra, veniva massaggiato con terra e farina, a simboleggiare il rinnovo fisico e immateriale. A questo punto l’iniziato si alzava e diceva: “Sono sfuggito al male e ho trovato il meglio”, e i fedeli cantavano ritualmente.  Durante il giorno, gli iniziati scendevano nelle strade in processione, col capo coronato di finocchio e rami di pioppo bianco. Il capo spirituale, con dei serpenti attorcigliati sulla testa, li precedeva gridando: “Evoè, mysti di Sabazio”, oppure “Hyès, Attès, Attès, Hyès”.   Tra le nomine del primo del tìaso compare quella di Capo dei Misteri, Portatore del Latte, Portatore delle Torce, Porta-Canestro e Portatore del fallo. Infatti, elemento simbolico fondamentale era il Liknon, un paniere o cesta, all’interno del quale veniva trasportato un grande fallo, simbolo non solo di fertilità, ma anche della vita che si conquista attraverso la morte.  Le feste dedicate a Dioniso erano:  Le feste dette Dionisie ai campi o “Dionisiae Rusticae” che avevano luogo nel mese di Posideone (dicembre-gennaio), le “Lenee” che si celebravano nel mese di Gamelione (gennaio-febbraio), le “Antesterie” ovvero le feste più famose che si celebravano dall’11 al 13 del mese di Antesterione, all’inizio della primavera e le “Grandi Dionisiache” nel mese di Elafebolione (marzo-aprile).


Da Wikipedia: “Divinità enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni ordinamento e convenzione, sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro stato di purezza primordiale. Per il filologo Walter Otto rappresenta “lo spirito divino di una realtà smisurata” che si manifesta in un eterno deflagrare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio, è una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina e inquieta, la sinfonia inebriante dell'universale realtà del cosmo. Per Károly Kerényi “dove regna Dioniso la vita si rivela irriducibile e senza confini”. Quale divinità della forza vitale, dell'impulso, dell'ebbrezza e dell'estasi divenne oggetto dell'analisi del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che contrappose lo Spirito dionisiaco allo Spirito apollineo”.


Ci tengo a precisare che la Figura di Dioniso greco è ben diversa dal Bacco latino e queste due non devono essere confuse tra di loro anche se risultano la modificazione di uno stesso personaggio mitico all’interno di un contesto culturale. I valori e gli attributi dionisiaci sono nettamente diversi da quelli bacchici ed appartengono a contesti sociali differenti.  La figura in alto rappresenta il Dioniso rinvenuto nei mosaici pavimentali del “Santuario di Dioniso” a Delo. 


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