“F” come Falcetto d’oro, il Rito della raccolta
del vischio nelle tradizioni druidiche
“II sacerdote,
vestito di bianco, sale sull'albero, taglia il vischio con un falcetto d'oro e lo
raccoglie in un panno bianco” Plinio
Ben poco si conosce dell’antica cultura celtica, dei riti
religiosi dei Druidi, Vati e Bardi. Tutto ciò che ci è pervenuto, data la non
usanza alla scrittura e il metodo orale in versi di tramandare le tradizioni,
ci giunge da fonti latine; autori che hanno toccato con mano, seppur con numerosi
preconcetti e pregiudizi, le ultime vestigia dei riti e dei miti celtici. Il più rinomato di questi autori
(che è anche colui che ha effettivamente prodotto più materiale) è Plinio nella “Naturalis Historia”.
Premessa doverosa è sul
nome “druidi”: nei testi classici appare sempre nella forma plurale (“druidai”
in greco e “druidae” o “druides” in latino) ma la sua effettiva etimologia è
incerta. L'opinione più comune è che la parola derivi dall'unione di due parole
celtiche: "duir", che vuol dire quercia, e "vir", una
parola che significa "saggezza".
Plinio lo considera invece unicamente
legato alla parola greca “drus” (quercia) per l’affinità con il loro
luogo sacro il “Nemeton“ (letteralmente santuario) che poteva subire variazioni
del nome in “Drunemeton” o “Drynemeton”
che definiva il bosco sacro di querce in cui i Druidi praticavano.
Concentrandoci invece sul Falcetto, troviamo un riscontro
del rito di raccolta del vischio nel testo
di Plinio “Naturalis Historia”; esso cita:
“Dobbiamo ricordare qui la devozione che i Galli offrivano a
questa pianta. I druidi, così essi chiamano i loro maghi, non avevano nulla
tanto sacro quanto il vischio, e la quercia su cui cresce. Soltanto in grazia
dell’albero scelgono boschi di querce, e non eseguono nessun rito se non alla
presenza di una sua fronda; sembra così probabile che i sacerdoti derivino il
loro nome dalla parola greca che indica la quercia. Infatti pensano che
qualsiasi cosa cresca sull’albero sia stata mandata dal cielo e sia una prova che
il dio in persona ha scelto proprio quella quercia; il vischio tuttavia si
trova di rado sulla quercia. Quando questo accade, gli si dedicano cerimonie
apposite, in particolare il sesto giorno della luna, poiché in base al
movimento di questo pianeta essi misurano i loro mesi e i loro anni, nonché le
età, un periodo di trent’anni. I Celti scelgono questo giorno, perché la luna,
benché non sia ancora a metà del suo corso, ha già un forte influsso. Chiamano
il vischio con un nome che nella loro lingua significa “che tutto risana”.
Apprestati sotto gli alberi il sacrificio e il banchetto secondo il rito,
vengono condotti due tori candidi, ai quali vengono per la prima volta legate
le corna. Il sacerdote, avvolto in una veste bianca, sale sull’albero e taglia
con un falcetto d’oro il vischio, che viene raccolto dagli altri con un panno
bianco. Poi vengono uccise le vittime ed essi pregano che il dio renda propizio
l suo dono a coloro a cui l’ha offerto. Pensano infatti che il vischio, se
ingerito in una bevanda, porti la fecondità agli animali sterili, e sia l’antidoto
per tutti i veleni”.
Ciò che dobbiamo notare è la presenza del bianco: l'abito
del druido, le bacche di vischio, il drappo e i tori. E' chiaramente un rituale
legato alla luna, alla fertilità e alla guarigione. Lo stesso falcetto richiama
la falce di luna. Possiamo ipotizzare due cose: innanzitutto che il falcetto
non fosse d'oro ma solo di bronzo dorato, questo perché l'oro è troppo morbido
per poter tagliare qualcosa. La seconda ipotesi è che tutti questi elementi
siano profondamente legati ad un solo importantissimo rito: ovvero il taglio
del vischio. Ipotesi moderne suggeriscono come, l’uso del falcetto rituale,
fosse tenuto in considerazione solo per la sacra raccolta del Mistletoe e non
per altri usi magico-rituali. Il capo dei Druidi, quindi, coglieva il vischio
con un falcetto d’oro; gli altri druidi, vestiti di tuniche bianche, lo
mettevano in un bacile d’oro che esponevano poi alla venerazione del popolo.
Siccome si attribuivano al vischio tante proprietà curative, lo immergevano
nell’acqua che distribuivano a chi la desiderava per guarire da qualche male e
per preservarsi da future malattie. Quell’acqua era considerata come un
antidoto contro malefici e sortilegi. Scrive sempre Plinio sulle virtù del
vischio:
“ Ritengono che il vischio, preso in pozione dia la capacità
di riprodursi a qualunque animale sterile e che sia un rimedio contro tutti i
veleni; così grande è la devozione che certi popoli rivolgono a cose per lo più
prive di importanza”. Lo scrittore latino riferisce che il vischio venerato dai
Celti era quello che cresceva sulla quercia, considerata l’albero del dio dei
cieli e della folgore perché su di esso cadevano spesso fulmini. Si credeva che
la piantina cadesse dal cielo insieme ai lampi. La vera ragione per cui i
Druidi adoravano la quercia ed il vischio più di tutti gli alberi della
foresta era la credenza che ciascuna di quelle querce non
fosse stata colpita dal fulmine, ma portasse sui rami una visibile emanazione
di fuoco celeste; così che tagliando il vischio con mistici riti si procuravano
tutte le proprietà magiche del fulmine.
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